Come parlare in pubblico efficacemente

“Un viaggio di mille miglia inizia con un solo passo”. Lao Tzu

Questo post inaugura una nuova sezione del blog, dedicata alle interviste. Ogni intervista sarà un piccolo viaggio alla scoperta delle tante sfaccettature che la professione d’aiuto può assumere. Lo farò attraverso le storie e gli sguardi di professionisti affermati che in modi diversi e con strumenti differenti lavorano nella galassia composita delle professioni d’aiuto, sostenendo il cambiamento delle persone che si rivolgono a loro.

I confini rigidi appartengono al mondo delle teorie accademiche (non tutte fortunatamente!), dove spesso a farla da padrone sono ancora le idee chiare e distinte di cartesiana memoria. E invece pánta rêi. La vita, quella vera, scorre fluida. E le cornici che attraversiamo vivendola sono aperte, porose.

Per questo da buon esploratore di mondi possibili  ho scelto di uscire dai confini (ancora in costruzione) del counseling, per esplorare anche territori limitrofi. Il mio obiettivo? Mettere in dialogo punti di vista differenti, dando voce alle esperienze.

Comincio questo viaggio con una professionista che allena le persone a diventare la versione migliore di se stesse. Lei ama definirsi così. A Francesca Trevisi, public speaking coach del TedX Padova (e molto altro), il compito di aprire le danze.

Buon viaggio! ;-)

 

Francesca, nella tua vita professionale hai attraversato molte professioni. Qual è stato il tuo percorso?

In realtà, guardandolo in retrospettiva e unendo i puntini, come direbbe Steve Jobs, il mio percorso è stato piuttosto lineare. Già dal liceo avevo deciso che mi sarei occupata di comunicazione, ma nei primi anni Ottanta questa era una parola che si usava poco. O facevi il pubblicitario o facevi il giornalista. E io ho scelto di fare proprio la giornalista. A 21 anni ho tentato di entrare in quella che allora era la prima e più prestigiosa scuola di giornalismo in Italia. Ma non hanno accettato la mia candidatura. Così mi sono rimboccata le maniche, ho studiato molto e ci ho riprovato due anni dopo… sono entrata! In questa mia caparbietà, nella capacità cioè di pormi degli obiettivi precisi e di lavorare sodo per raggiungerli, guardando indietro vedo i germi della persona e della professionista che sono oggi.  La mia carriera è cominciata lì; ho lavorato per diversi giornali, anche nazionali, e qualche anno dopo sono approdata alla radio (RTL 102.5). Poi, a un certo punto, ho interrotto bruscamente la mia carriera per sposarmi e avere due bambini.

Quella del giornalista però non è l’unica professione che hai attraversato…

Esatto. Due anni dopo ho ripreso il filo da dove l’avevo abbandonato; sono tornata in attività e ho iniziato a lavorare per Telenordest. Erano tempi eroici per la tv locale. Poi, a 33 anni, dall’andare in onda mi sono ritrovata a lavorare dietro le telecamere. Una scelta non facile, che io però ho fatto con convinzione. Fino al 2008, quando la società per cui lavoravo ha chiuso all’improvviso. E ora che si fa?, mi sono detta. Crisi. Come spesso accade, però, questo evento inaspettato e traumatico nascondeva una grande opportunità. Con Loretta Freguglia ho fondato CUBE e ho vissuto anni bellissimi occupandomi di comunicazione e organizzazione di eventi. Fino all’incontro con il coaching. Nel 2014 mi sono iscritta a una scuola per diventare coach e ho incrociato la Programmazione Neuro-Linguistica. Ed è qui che è maturata la scelta di fare il salto: da professionista che fa formazione a professionista della formazione. Saper fare e saper insegnare sono due cose molto diverse, che non necessariamente vanno a braccetto. Ed eccoci qui. Negli ultimi due anni ho scoperto che stare in aula mi piace tantissimo e oggi mi occupo con grandissima soddisfazione di public speaking.

Cosa fa esattamente un coach?

Che bella domanda! C’è un grande fraintendimento e parecchia confusione intorno alla parola “coach, che va molto di moda in questo periodo. In molti si definiscono coach senza avere un percorso formativo e personale importante alle spalle, e giustamente qualcuno reagisce a tutto questo nutrendo dei dubbi sulla professionalità di alcuni. Devo ammettere che io non uso molto la parola coach, preferisco definirmi una formatrice o una trainer, però di fatto sono una coach. Cioè una professionista che allena le persone a diventare la versione migliore di loro stesse. Questa è la mia definizione. A me piace dire che più che una formatrice sono una trasformatrice, aiuto cioè le persone a trasformarsi e a tirare fuori il meglio da se stesse. Ed è una cosa che ho fatto prima di tutto con me stessa, perché per accompagnare altre persone in un percorso è fondamentale aver lavorato prima su se stessi. Quindi, ricapitolando, aiuto le persone a cambiare prospettiva, a identificare le loro risorse e ad attivarle per raggiungere i loro obiettivi.

Da dove nasce la paura di parlare in pubblico?

Generalmente nasce da quello che abbiamo vissuto da piccoli a scuola. Tutti abbiamo il ricordo di un’interrogazione in cui abbiamo subito qualche umiliazione, esponendoci al giudizio dei professori o della classe. Non possiamo però generalizzare, ognuno ha il proprio motivo. Quando faccio coaching non chiedo mai “perché hai paura?“.

Il superamento della paura di parlare in pubblico passa “semplicemente” dal cambiare lo stato d’animo e la voce interiore, che fa risuonare nella testa giudizi o cose negative.

Ti faccio un esempio. Io sono la speaker coach del TedX Padova. Gli speaker mi hanno raccontato quello che si dicevano prima di uscire sul palcoscenico. Ed è saltato fuori di tutto: da “mi sto giocando la carriera” a “oddio faccio una figura del cavolo con mia moglie e mio figlio!“, passando per “oddio sto per morire!“. Ecco, io lavoro su come far tacere quella fastidiosa vocina.

Quali consigli dai per superare questa paura?

1. Prendi consapevolezza e cambia (da negativo a positivo) il tuo dialogo interiore.

2. Lavora sul corpo perché è l’atteggiamento del corpo che ti comunica che stai avendo paura. È dimostrato che la postura influenza il pensiero. È molto difficile avere pensieri negativi se assumi una postura aperta e “potente”. Se invece assumi un atteggiamento corporeo di chiusura (schiena curva, spalle basse, sguardo fisso a terra, capo chinato) il tuo cervello comincerà a chiedersi: quale minaccia devo temere?

3. Lavora sul tuo stato d’animo: pensa alla performance che stai per fare come a qualcosa di entusiasmante e immagina di dover parlare a una persona che ti piace e che ti fa sentire bene.

Come vedi, tutto questo non ha nulla a che vedere con i contenuti dello speech. Io non parto dal messaggio, lavoro prevalentemente sulla persona. Dopo aver lavorato con e sulla persona, essendomi occupata a lungo di comunicazione, passo al messaggio e vado a lavorare anche sugli aspetti tecnici che consentono di strutturare un messaggio efficace. Ma questo viene dopo, perché

puoi avere il contenuto migliore del mondo ma se non riesci a trovare la via per farlo arrivare al tuo pubblico non ti serve a nulla.

Annamaria Testa, nel suo blog Nuovo e Utile, ha pubblicato un articolo dove dice sostanzialmente che gli italiani non sanno parlare in pubblico. Cosa ne pensi?

Beh, penso che abbia ragione. Ed è un gran peccato perché l’ars oratoria nella cultura latina era centrale e quindi un po’ dovrebbe appartenerci. Ci siamo persi qualcosa di importante per strada. Di fatto le tecniche che stiamo importando vengono dal mondo anglosassone. E credo che questo accada perché non si insegna a parlare in pubblico nelle scuole. Io comincerei dalle elementari. E invece… mi viene in mente la mia maestra che ripeteva continuamente: seduti, braccia conserte e bocca chiusa!

Predisposizione e allenamento: bravi oratori si nasce o si diventa?

Si diventa. Con tanto allenamento. Certo a qualcuno piace più di altri e senza dubbio ci sono persone più portate di altre.

Tutti però possono imparare a parlare bene in pubblico.

A qualsiasi età. Poi più giovani si comincia e meglio è, perché la predisposizione al cambiamento tende a diminuire con l’età.

Quali sono le tue regole d’oro per parlare in pubblico efficacemente?

1. Fai sentire tutti coinvolti con il contatto visivo

Quando sei sul palco, guarda negli occhi il tuo pubblico. Se è piccolo, cerca di contattare lo sguardo di ciascuno. Se è un pubblico vasto, usa la tecnica degli angoli: guarda in centro, davanti a destra, davanti a sinistra, in fondo a destra e in fondo a sinistra. Il tuo sguardo abbraccerà tutti.

2. Elimina il più possibile le barriere sul palco

Se stai tenendo una conferenza, non sederti dietro la scrivania. Se puoi, alzati e stai in piedi davanti al tavolo. Questo crea subito relazione.

3. Coinvolgi il pubblico

Se ci riuscirai, avrai fatto tre quarti del lavoro.

4. Fai delle domande

Anche molto semplici. Attenzione, non dev’essere un’interrogazione. Lo scopo è sviluppare nelle persone l’istinto a rispondere. L’obiettivo è attivarle, coinvolgendole nel tuo discorso.

5. Fai attenzione alla postura

Il tuo corpo comunica quanto (se non di più) quello che stai dicendo. Fai in modo di essere credibile e autorevole quando sei sul palco.

5. Organizza il discorso

Prepara una scaletta delle cose che devi dire.

6. Utilizza l’ironia

Ma solo se ti appartiene. Se non te la senti, lascia perdere.

7. Cerca di essere te stesso

Ma nella versione migliore. Non cercare di essere un altro. L’autenticità paga.

 

Grazie Francesca! :-)

Autore: Roberto Fioretto

Manager della comunicazione e counselor con il pallino dello s-viluppo (inteso come liberazione dai viluppi che imbrigliano il potenziale) organizzativo. Osservatore appassionato dei sistemi che le persone attivano entrando in relazione. Amo esplorare le culture organizzative e considero come la parte più importante del mio lavoro mettere in contatto le persone (e me stesso) con il loro potenziale più alto. Autore di LeadEretici, il podcast dedicato alla leadership generativa.

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