Le emozioni sono passi di danza

Cos’hanno in comune gli ORSI con la DANZA, ed entrambi con le EMOZIONI? Se la prima cosa che ti viene in mente è “Chiamate la neuro!”, mi dispiace, sei fuori pista. La mia testolina sta benissimo! ;-)

Di orsi e di emozioni

Ora ti chiedo di accendere l’immaginazione: è una magnifica giornata di primavera, il sole splende e una brezza leggera ti accarezza il viso. Intorno a te un prato così grande che non riesci a scorgerne la fine. Tutto è pronto per il picnic quando, attirato da un rumore insolito, ti giri all’improvviso. A pochi metri da te è comparso un orso, che punta dritto al cestino dei panini. Che fai?

  1. VEDO L’ORSO – HO PAURA – SCAPPO

  2. VEDO L’ORSO – SCAPPO – HO PAURA

Cosa hai scelto? Prima di sciogliere la suspance, scopro le carte: questo “gioco” non  è farina del mio sacco. L’ho preso in prestito dal filosofo e psicologo statunitense William James, vissuto a cavallo tra Ottocento e Novecento.

Tornando a noi, è molto probabile che tu abbia scelto l’ipotesi 1: l’orso mi fa paura e quindi me la do a gambe levate. Plausibile.

James però suggerisce che quello che ci accade quando vediamo l’orso ha molto a che fare con l’ipotesi 2: vedendo l’orso il mio istinto di conservazione invia al cervello il messaggio “Scappaaaaaaaa!!!”. Il cervello, a sua volta, invia dei segnali ai muscoli delle gambe, che si attivano. Il cuore pompa il sangue sempre più velocemente, facendo aumentare il battito. E tutti questi segnali ritornano al cervello, che li interpreta come “ho paura”.

Quindi non scappiamo perché abbiamo paura, ma abbiamo paura perché scappiamo. Non piangiamo perché siamo tristi, ma siamo tristi perché piangiamo. Non tremiamo perché siamo terrorizzati, ma siamo terrorizzati perché tremiamo. Non lottiamo perché siamo arrabbiati, ma siamo arrabbiati perché lottiamo.

Se William James non ti ha convinto, prova questo esercizio. Sorridi. Sì, sorridi a piena bocca. Facendolo per qualche minuto sentirai che il tuo umore migliora e avvertirai nella pancia una sensazione di positività. Funziona anche al contrario, ovviamente. China la testa, curva le spalle, atteggia il viso come se stessi piangendo… e un po’ alla volta sentirai la tristezza salire.

Le emozioni sono passi di danza

Ricapitolando, il nostro corpo si attiva in base al modo in cui percepiamo gli eventi che ci accadono. E le emozioni altro non sono che la percezione dei cambiamenti che avvengono nel nostro corpo.

Questo significa che le emozioni, lungi dall’essere delle reazioni spontanee di cui siamo preda, sono nostre alleate. Anzi, di più, sono uno strumento di conoscenza fondamentale.

Mi spiego meglio. Sono arrabbiato con te e vorrei prenderti a pugni. Se interpreto la mia RABBIA come un impulso irrefrenabile e naturale ad attaccarti, molto probabilmente lo farò. Se invece la interpreto come un avvertimento che questo impulso è in atto, e cioè che il mio corpo si sta attivando per attaccarti, la rabbia diventa mia alleata e può aiutarmi a modificare il mio comportamento.

Anche il corpo è mio alleato. In determinate situazioni abbiamo la tendenza a reagire sempre  nello stesso modo, secondo dei copioni abituali. Se, ad esempio, tutte le volte che vedo una certa persona provo PAURA, questa emozione mi sta dando un’informazione preziosa. Mi dice infatti che il mio corpo si sta preparando a danzare – o, se preferisci, a recitare – la parte della potenziale vittima in una danza in cui la persona di cui ho paura è invitata a danzare la parte dell’aggressore. Perché? Rispondere a questa (apparentemente) semplice domanda spesso è il primo passo sulla via della consapevolezza…

Scegli la tua danza

Le emozioni dunque, se usate come strumento di conoscenza, sono rivelatrici di “danze abituali”, che ci prepariamo a mettere in atto e alle quali invitiamo gli altri a partecipare.

Se io sto ballando un tango e tu una mazurca, non c’è scampo, ci pesteremo i piedi! Se ne sono consapevole, potrò decidere di cambiare passo o di non ballare affatto. In entrambi i casi avrò esercitato la mia libertà e non ci pesteremo più i piedi.

Come? Ne parlo in questo post dedicato all’autoconsapevolezza emozionale.

Ricapitolando,

le emozioni non sono reazioni. Sono passi di danza!

La prossima volta che proverai un’emozione forte, di qualsiasi tipo, prova a farti questa domanda: in quale danza mi sto preparando ad entrare? E, soprattutto, mi piace? Poi, mi raccomando, fammi sapere com’è andato questo piccolo esperimento.

 

PER APPROFONDIRE

Autore: Roberto Fioretto

Manager della comunicazione e counselor con il pallino dello s-viluppo (inteso come liberazione dai viluppi che imbrigliano il potenziale) organizzativo. Osservatore appassionato dei sistemi che le persone attivano entrando in relazione. Amo esplorare le culture organizzative e considero come la parte più importante del mio lavoro mettere in contatto le persone (e me stesso) con il loro potenziale più alto. Autore di LeadEretici, il podcast dedicato alla leadership generativa.

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2 Commenti

  1. Ciao Roberto, non sono pratico di blog per cui non so se sto scrivendo solo a te o ad un gruppo di potenziali lettori
    Comunque davvero complimenti il tuo blog mi piace moltissimo è chiaro e ricco ed è facile per me essere d’accordo su tutto quanto hai scritto.
    Ecco un mio pensiero:
    Si verifica la magia del “ti guido perché tu possa trovare la via migliore per il tuo miglioramento” anche lavorando sull’atteggiamento del counselor: un atteggiamento efficace comprende diversi aspetti uno di questi penso sia rinunciare a pensare a sé stessi, fare il vuoto dentro di sé. Di altri aspetti scriverò successivamente .cosa ne pensi?

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    • Ciao Adriano!
      Per cominciare, grazie dei complimenti, del tuo feedback e di aver “aperto le danze” con un commento molto intrigante. Sono felice che i contenuti del blog ti piacciano! :-)
      Credo anch’io che un buon counselor debba lavorare molto su di sé e sui propri nodi, per non confonderli con quelli del cliente.
      Penso però che, più che fare il vuoto, la sfida principale sia trasformare la pizza capricciosa delle sue esperienze in una quattro stagioni, imparando a distinguere con maggiore chiarezza tutti gli ingredienti (carciofini, funghi, prosciutto, olive…) senza farli sparire. ;-)
      Fare il vuoto è molto difficile e forse per un counselor non è necessario. Per me, l’atteggiamento ideale – quello che io mi impegno a mantenere in ogni colloquio – è un misto di centratura e apertura. Insieme alla consapevolezza dei miei limiti, personali e professionali. C’è un confine oltre il quale, come counselor, non siamo autorizzati ad avventurarci e questo è bene ricordarlo sempre.
      Cerco cioè di rimanere il più possibile CENTRATO, per poter accompagnare il cliente senza perdermi, e APERTO, per accogliere quello che mi porta senza giudicare.
      Personalmente trovo questo atteggiamento molto efficace perché possa verificarsi la magia di cui parli…

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