Si chiama Tinna Nielsen. È per metà antropologa e per metà economista comportamentale.
Fa un lavoro affascinante. Trasforma le scoperte delle scienze comportamentali in applicazioni pratiche che possono essere usate per “spingere” sempre più persone a innescare cambiamenti positivi e inclusivi nei luoghi di lavoro, nelle comunità di cui siamo parte e nell’intera società.
Bypassare la mente razionale
Facciamo un passo indietro.
Tra le cose che faccio, da nove anni organizzo Segnavie.
Un ciclo di incontri che dal 2010 porta a Padova speaker internazionali – veri e propri fari nei rispettivi ambiti professionali – chiamati per abbozzare scenari futuri e tracciare direzioni possibili, aprendo la mente dei partecipanti a nuove consapevolezze. Tinna Nielsen è stata una dei protagonisti dell’edizione 2019.
I nostri percorsi si sono incrociati mentre cercavo un esperto/a in grado di approfondire il tema del nudging, un approccio conosciuto anche come “spinta gentile”.
Si tratta di una serie di tecniche di cambiamento pensate per bypassare la mente razionale, rendendo più agevole l’adozione di comportamenti capaci di portare benessere alla persona (e all’intera società).
E quindi, concretamente? Seguitemi, ci arriveremo presto.
Perché abbiamo bisogno di una crescita inclusiva
Partiamo dal tema di cui la Nielsen è un’esperta internazionale.
La disuguaglianza è uno dei nodi più critici del mondo contemporaneo.
Oggi l’1% della popolazione possiede più ricchezza del restante 99%. E 4,4 miliardi di persone (su 7,7 totali) sentono di non avere alcuna influenza sulle proprie vite. Di conseguenza si sentono impotenti, hanno paura, cercano disperatamente certezze e avvertono il bisogno di trovare soluzioni facili a problemi che, per loro natura, sono invece complessi.
Una situazione che, come ha sottolineato anche il World Economic Forum, spalanca la porta ai populismi e mina alle radici la democrazia.
Inoltre crescono i suicidi, sempre più persone cadono in depressione, aumentano le patologie mentali e l’empatia tende a diminuire.
Tutto questo comporta un enorme spreco di potenziale umano.
Come se ne esce? Promuovendo una crescita più inclusiva, afferma perentoria Tinna Nielsen. Questo significa garantire una più ampia partecipazione delle persone alla creazione della ricchezza e una più equa distribuzione delle risorse, per consentire alle persone – ma anche ai gruppi, alle organizzazioni e alla società nel suo complesso – di accedere al proprio potenziale più alto.
Tra tutti, le donne sono le più penalizzate.
Eppure se potessero partecipare pienamente all’economia potrebbero generare 28 trilioni di dollari (cioè 28mila miliardi di dollari) entro il 2025. Una cifra impressionante! Per chi volesse approfondire consiglio gli studi dell’economista Daniela Del Boca, illustre esponente italiana del filone di studi chiamato womenomics. Qui trovate il video del suo intervento a Segnavie, nel 2012.
Chi deve abbattere le barriere?
I politici? No. Voi. Io. Tutti noi.
E possiamo farlo già a partire dai nostri contesti lavorativi.
Ecco alcuni dati piuttosto inquietanti, che danno l’idea di quanto sia urgente promuovere l’inclusione nelle organizzazioni:
- Solo il 13% dei lavoratori si sente coinvolto nel proprio lavoro
- Soltanto il 2% si sente supportato nel pensare in maniera innovativa
- La prima ragione per cui le persone si licenziano è perché sentono che le proprie capacità sono sottoutilizzate
- Il 70% sente che l’organizzazione in cui lavora limita la propria curiosità
- Nel posto di lavoro le donne si sentono spinte ad adottare atteggiamenti maschili per essere accettate
- L’89% dei lavoratori sente di essere trattato ingiustamente
[Fonte: www.gallup.com; www.smu.edu.sg; Newsweek Report 2018 by Kepinski and Hucke. Harvard Business Review 2015]
Di nuovo, ci troviamo di fronte a un enorme sperpero di potenziale umano. Ed è qui che entrano in gioco le tecniche di nudging.
Spostare un elefante di 6 tonnellate
Oltre vent’anni di ricerche dimostrano che quando siamo inclusivi innoviamo, siamo più sostenibili e miglioriamo i contesti sociali nei quali viviamo. Razionalmente lo sappiamo, ma fatichiamo comunque a cambiare passo. Perché?
Perché non possiamo convincere le persone a essere inclusive. È uno sforzo vano.
Il nostro cervello, infatti, è composto da due parti. Lo psicologo Daniel Kahneman – nel libro Pensieri lenti e veloci – le chiama Sistema 1 e Sistema 2.
Il Sistema 1 – la mente inconscia – è veloce, non controllabile, funziona per reazioni e agisce in maniera automatica. È la parte più primitiva del nostro cervello, detta anche rettiliana. Una parte tendenzialmente pigra, ripetitiva e molto conservatrice.
Il Sistema 2 – la mente conscia – è invece lento, riflessivo e controllato. Coincide con la parte evolutivamente più recente del cervello, ovvero la neocorteccia.
I ricercatori stimano che una parte compresa tra il 90 e il 99% dei nostri processi di pensiero avvenga nel Sistema 1.
Jonathan Haidt, nel suo libro Felicità: un’ipotesi, paragona il Sistema 1 a un elefante di 6 tonnellate su cui sta seduto il suo guidatore: il Sistema 2.
La “parte elefante” – cioè quella inconscia – del nostro cervello controlla il 99% di quello che facciamo, mentre la parte-guidatore (la mente conscia) solo l’1%.
Una dimostrazione? Le due figure qui sotto sono assolutamente identiche. Eppure in quella di sinistra vedete il quadrato B più chiaro. Come mai? Questo accade proprio perché la vostra mente inconscia ama la ripetizione e “si aspetta” che nei quadrati vi sia sempre l’alternanza tra chiaro e scuro, tipica della scacchiera.
L’unica maniera per correggere questa distorsione è spostare l’elefante. Per farlo non serve a nulla parlare al guidatore (il Sistema 2).
Per spostare l’elefante dobbiamo parlare al Sistema 1 – la mente inconscia – per aiutarlo a superare l’inerzia e le distorsioni che gli fanno vedere la realtà non per com’è ma per come siamo.
E le tecniche di Inclusion Nudging, di cui Tinna Nielsen è una pioniera, fanno proprio questo.
Cos’è un nudge?
Il premio Nobel per l’economia 2017 Richard Thaler e Cass Sunstein, nel libro Nudge. La spinta gentile, definiscono nudge “ogni aspetto nell’architettura delle scelte che altera il comportamento delle persone in modo prevedibile senza proibire la scelta di altre opzioni e senza cambiare in maniera significativa i loro incentivi economici. Per contare come un mero pungolo, l’intervento dovrebbe essere facile e poco costoso da evitare. I pungoli non sono ordini”.
Nelle mense, ad esempio, posizionare la frutta al livello degli occhi è un semplice esempio di nudge. Mentre proibire il consumo di cibo spazzatura non lo è.
L’approccio viene chiamato anche paternalismo libertario. L’aggettivo “libertario” sta a sottolineare che ciascuno deve essere libero di scegliere; il “paternalismo” riguarda invece quella che Thaler chiama “l’architettura delle scelte“, un meccanismo che rende possibile influenzare il comportamento delle persone al fine di rendere migliore la loro vita.
È un modo relativamente soft e non invasivo di aiutare il cervello a prendere decisioni migliori. Una spinta gentile, appunto.
Un buon nudge è un intervento comportamentale che influenza le scelte delle persone in accordo con i loro interessi, senza doverle convincere con argomentazioni razionali, senza premiare né punire.
È un’architettura della scelta disegnata per portare la mente inconscia a prendere una decisione buona.
Ricapitolando, un buon nudge:
- Non usa argomenti razionali per convincere le persone
- Minimizza l’impatto negativo di scorciatoie e distorsioni della mente inconscia
- Non usa consapevolezza, razionalità e forza di volontà come driver di cambiamento
- Non usa premi, minacce o punizioni
- Rispetta la libertà di scelta
Un esempio: umanizzare i dati
I leder organizzativi spesso non sono consapevoli delle esperienze negative vissute dai loro collaboratori. Un modo semplice ed efficace per renderli consapevoli, facendo provare loro alcune delle emozioni che circolano nell’organizzazione, è raccogliere le storie dei lavoratori per poi trasformarle in illustrazioni o citazioni da affiggere ai muri di una stanza. La stessa stanza dove poi si inviteranno i leader ad entrare, dando loro il tempo per leggere, prima di iniziare la discussione.
Solitamente più si sale nella scala gerarchica e meno si parla di emozioni. Grazie a questa tecnica, i leader organizzativi vengono aiutati ad entrare in contatto con le emozioni – le loro e quelle dei collaboratori – facendo contatto con la loro mente inconscia.
Un report di soli numeri difficilmente potrà ispirare un cambiamento. Le storie sono invece strumenti potenti.
Questo intervento può essere realizzato da chiunque.
Creare inclusività è più semplice di quel che pensiamo.
Il libro di Tinna Nielsen e Lisa Kepinski Inclusion Nudges Guidebook raccoglie 100 tecniche di nudging che ciascuno può mettere in pratica già a partire da domani.
Chi mastica l’inglese trova un piccolo assaggio in questa presentazione preparata da Tinna.
Ora la palla passa a voi, provateci!
Non dubitare mai che un piccolo gruppo di cittadini coscienziosi ed impegnati possa cambiare il mondo. In verità è l’unica cosa che è sempre accaduta.
(Margaret Mead)
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