L’economia (civile) che usa la testa ma non lascia a casa cuore ed emozioni

A gennaio, da ormai più di 20 anni, gli ex Alunni dell’Antonianum organizzano a Padova un interessantissimo ciclo di conferenze gratuite aperte alla cittadinanza. Tra i relatori di quest’anno, c’era l’economista Leonardo Becchetti.

Conoscevo Becchetti di fama, ma non mi era mai capitato di sentirlo parlare. E ne sono rimasto affascinato. È senza dubbio un grande comunicatore, tuttavia a colpirmi sono stati soprattutto i contenuti del suo intervento. Per i più curiosi, eccolo qui:

 

 

Mentre ascoltavo, nella mia testa prendeva forma un modello di economia diverso da quello che avevo appreso sui banchi di scuola. E da quello che i media ci propinano ogni giorno. Un modello di economia che qualcuno potrebbe essere tentato di bollare come “utopistico”. Ma basta prendersi la briga di approfondire un po’ per scoprire che esistono già molte realtà che lo stanno mettendo in pratica con successo. E con profitto.

Questo modello ha un nome: economia civile.

E quando Becchetti ha annunciato che alla fine di marzo si sarebbe tenuto a Firenze il primo Festival Nazionale dell’Economia Civile, in quello stesso istante ho deciso che non me lo sarei perso. E ho fatto bene. Perché sono stati tre giorni fisicamente intensi – per i ritmi di lavoro serrati – ma rigeneranti.

Una boccata d’ossigeno necessaria, che ha messo insieme centinaia di change makers differenti, ma accomunati dalla stessa volontà di mettere la Persona – l’essere umano – al centro.

Eccola la risposta. A cosa? Alla domanda che qualcuno forse si stava facendo:

che c’entra l’economia con un blog che si occupa di teorie e strumenti per “liberare” il potenziale umano?

C’entra eccome, è questo il punto. Seguitemi.

Adam Smith è un impostore

Non è vero, sto esagerando. Il povero Adam Smith non c’entra nulla.

L’equivoco nasce da come (gli americani) ci hanno sempre raccontato la storia del pensiero economico.

Abbiamo imparato infatti che l’economia moderna nasce nel 700 con Adam Smith. In realtà la sua non è stata la prima cattedra di economia al mondo, Smith infatti aveva una cattedra in Filosofia morale.

La colpa dell’equivoco è solo nostra: se noi italiani avessimo tradotto i nostri libri forse la storia sarebbe andata diversamente.

O perlomeno sarebbe stata raccontata in maniera diversa. Pochi infatti sanno che la prima cattedra di economia fu istituita nel 1753 all’Università Federico II di Napoli, che la affidò ad Antonio Genovesi, la cui opera fondamentale si intitola proprio Lezioni di economia civile.

Una tradizione che, come vedremo tra un attimo, affonda le radici nell’Umanesimo e per secoli ha continuato a scorrere sotterranea come un fiume carsico.

Un fiume che ora sta riemergendo, grazie anche all’opera di tre economisti italiani, che stanno lavorando con passione per ridarle il posto che merita: Leonardo Becchetti, Luigino Bruni e Stefano Zamagni.

I tre pilastri dell’economia civile

1. Una visione ottimistica della vita

Nel 400 l’Italia ha conosciuto la felice stagione dell’Umanesimo. Alla sua base troviamo una concezione ottimistica dell’essere umano, che porta al rifiuto della visione hobbesiana su cui poggia l’idea di homo oeconomicus.

Per Hobbes homo homini lupus, che letteralmente significa “ogni uomo è un lupo per gli altri uomini”. Se l’altro è un lupo, io non potrò fare altro che proteggermi e diffidare. Genovesi, riallacciandosi alla tradizione dell’Umanesimo civile, rovescia il celebre adagio di Hobbes. E lo trasforma nel suo esatto contrario: homo homini natura amicus. E così facendo riporta dentro il pensiero economico la reciprocità, che non trova invece spazio nel pensiero economico mainstream (per il quale sono sufficienti leggi ben fatte e contratti ben stipulati, tutto il resto è in più).

2. La rivalutazione del concetto di bene comune

È più semplice spiegare cosa si intende per bene comune se lo si mette a confronto con il bene totale. Il bene totale – usando una metafora – è simile a un’addizione, il cui risultato si ottiene sommando i beni individuali (o dei gruppi sociali che formano la società).

Il bene comune invece assomiglia di più a una moltiplicazione. Qual è la differenza?

In una sommatoria, anche se alcuni degli addendi sono uguali a 0 la somma totale resta comunque positiva. Nella moltiplicazione questo non accade: se anche un solo fattore è uguale a 0, si azzera l’intero prodotto.

In altre parole, il bene comune non permette di sacrificare il bene(ssere) di qualcuno per massimizzare il bene(ssere) di qualcun altro. Perché quel “qualcun altro” è sempre una persona, un essere umano. Per il bene totale invece le persone sono solo funzioni di utilità. E le utilità non hanno volto, né storia, né tanto meno identità.

3. Pluralismo dei centri di potere

Secondo l’economista Stefano Zamagni è necessario favorire l’affermazione di un ordine economico e sociale fondato sulla pluralità dei centri di potere, chiamata anche poliarchia. A differenza del pluralismo, la poliarchia non guarda solo alla numerosità dei soggetti in campo, ma anche alla loro diversità. Salvaguardare la biodiversità delle forme di impresa e di organizzazione sociale è cioè fondamentale perché l’economia possa perseguire il bene comune.

L’economia civile in sintesi

Cos’è allora, in sintesi, questa economia che nasce ben prima della mano invisibile di Adam Smith?

L’economia civile è un’economia che usa la testa, ma non lascia a casa cuore ed emozioni.

È un’economia per la quale la crescita è una condizione necessaria ma non sufficiente. Perché le persone non sono solo massimizzatrici di utilità, ma sono prima di tutto cercatrici di senso.

È un’economia che si prende cura delle relazioni.

Un’economia dove 1+1=3. Dove cioè le persone, insieme, creano più valore di quello che avrebbero generato da sole.

È un’economia che concepisce se stessa come scienza della felicità. E la felicità, lo ripeto, non coincide con l’utilità. L’utilità appartiene infatti all’ordine dei mezzi. La felicità, invece, all’ordine dei fini.

È un’economia che punta allo s-viluppo, che etimologicamente significa “togliere i viluppi”. Cioè liberare. Per potenziare l’essere umano.

In definitiva, l’economia civile è un’economia per la quale iniziare processi generativi è più importante di possedere spazi. E, attenzione, generare è molto diverso da produrre.

Chi produce ama ciò che ha prodotto solo dopo averlo fatto. Chi genera ama ciò che sta generando nel momento stesso in cui lo fa.

È un’economia che, per dirla con l’antropologo Appadurai, persegue e potenzia la capability to aspire, cioè la capacità di aspirare.

Utopia? Chiedetelo a realtà come Lazzarelle, Rifò, Rubbettino, Teanatura e moltissime altre che potrete scoprire andando a curiosare tra i video delle tre giornate che trovate alla fine dell’articolo.

7 parole chiave per i change makers

Chiudo lasciandovi le 7 parole chiave nelle quali Vittorio Pelligra, professore di Politica economica all’Università degli Studi di Cagliari, ha condensato l’esperienza dell’impresa civile. A cui ho agganciato un mio personale invito.

Sono parole che a mio parere dovrebbero guidare tutti coloro che, in ogni contesto, lavorano per promuovere un cambiamento che miri e (ri)mettere le Persone al centro.

1. Virtù

Dal greco aretè, parola che indica la capacità di fare bene le cose. Eccelli, porta a compimento il potenziale; il tuo e quello delle persone con cui entri in contatto.

2. Valore

che – attenzione! – è diverso dalla ricchezza. Si può infatti produrre ricchezza anche distruggendo il valore (pensiamo al gioco d’azzardo o al traffico di stupefacenti). Crea e distribuisci valore.

3. Relazioni

Gran parte del valore è costruito attraverso le relazioni. Attivale.

4. Ambiente

Prenditi cura dell’ambiente e agisci tenendo a mente la sostenibilità.

5. Innovazione (sociale)

Scopri nuovi problemi, cerca di anticipare le necessità emergenti delle reti sociali nelle quali ti muovi.

6. Piccole scelte quotidiane

L‘innovazione disruptive è uno stereotipo. L’innovazione è il frutto di piccole scelte quotidiane che si accumulano. Sii il cambiamento che vuoi veder accadere. Ogni giorno.

7. Cultura

Sedimentando, giorno dopo giorno, le piccole azioni quotidiane diventano cultura. Lascia che questa consapevolezza ispiri il tuo agire.

Il tempo galoppa. La vita sfugge tra le mani. Ma può sfuggire come sabbia oppure come seme.
(Thomas Merton)

Buon lavoro!

29 marzo – Prima giornata di Festival

30 marzo – Seconda giornata di Festival

31 marzo – Terza giornata di Festival

 

PER APPROFONDIRE

Libri

Siti web
NEXT – Nuova economia per tutti
SEC – Scuola di Economia Civile

Autore: Roberto Fioretto

Manager della comunicazione e counselor con il pallino dello s-viluppo (inteso come liberazione dai viluppi che imbrigliano il potenziale) organizzativo. Osservatore appassionato dei sistemi che le persone attivano entrando in relazione. Amo esplorare le culture organizzative e considero come la parte più importante del mio lavoro mettere in contatto le persone (e me stesso) con il loro potenziale più alto. Autore di LeadEretici, il podcast dedicato alla leadership generativa.

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