Didattica inclusiva: trasformare le differenze in valore

Un altro dei temi, o meglio delle domande, che la serie Tredici ha acceso in me pensando a come “evitare” che una situazione vagamente simile si presenti un giorno in uno degli istituti dove insegno o faccio consulenza, è quello della didattica inclusiva.

No, la serie Tredici non parla assolutamente di didattica inclusiva, quindi da questi episodi non aspettatevi alcun riferimento a tecniche o modalità efficaci da adottare in aula.

Il collegamento è nato dentro la mia testa.

Ho associato la situazione di molti ragazzi che incontro ogni giorno tra i banchi di scuola alla mia volontà di adulto e docente. Una volontà che mi spinge ad attivare tutte le azioni preventive possibili (spesso si tratta di tentativi ironici), affinché gli episodi di solitudine ed etichettamento di alcuni ragazzi, a fronte di difficoltà scolastiche o fisiche evidenti, siano sempre meno numerosi.

“Non essere te stesso”: allenare il coraggio di resistere

Nella mia esperienza, il più delle volte, i casi di solitudine o etichettamento che mi è capitato di incontrare sono legati all’espressione di tratti soggettivi distintivi non in linea con la maggior parte del gruppo dei pari.

Questo fa riflettere molto perché la tacita controingiunzione a cui i giovani coraggiosi devono far fronte è “non essere te stesso”. Pena l’allontanamento dal gruppo.

Gli adulti hanno la responsabilità di sostenere il coraggio di resistere a questa spinta.

È singolare quanto, in un’età dove si lotta contro qualunque stereotipo venga cucito addosso dagli adulti, ci si ritrovi ad accoglierlo per motivi di sopravvivenza nel contesto legato ai pari.

Non c’è una ricetta per vincere contro questa situazione di non-libertà, se non imparare a:

  • nutrire il senso critico di ciascun ragazzo (il saper dire “no, io questo non lo faccio perché la mia testa, il mio cuore e la mia pancia mi dicono di non farlo”);
  • abituarli ad ascoltarsi, a darsi valore e a riconoscere dunque le loro emozioni come indizi preziosi;
  • favorire i momenti di condivisione e di inclusione smettendola di demonizzare difficoltà e differenze e raccontandole invece come specificità che ciascuno possiede. Specificità alle quali possiamo star di fronte senza drammi, trovando insieme gli strumenti e le modalità perché, se ognuno ha valore, ognuno è importante e utile nella visione completa del quadro.

In pratica, è bene insegnare loro che stare sul problema non è la soluzione.

Le leggi, i PEI e i PDP: una bussola per orientarsi

Di seguito, elenco in breve i punti che mi guidano nel vivere tutti i giorni la didattica inclusiva.

Tengo ben in mente che “La scuola è aperta a tutti”, principio enunciato nella Costituzione (Art. 34) che ha trovato attuazione pratica in tanti docenti che lavorano con passione e in alcune leggi che è necessario conoscere:

  • la Legge 517/1977 per l’integrazione degli alunni diversamente abili;
  • la Legge 104/92 che dice chiaramente come l’istruzione sia un tramite fondamentale per l’integrazione sociale della persona con disabilità;
  • la Legge 53/2003 che introduce il concetto di personalizzazione dell’apprendimento;
  • la Legge 170/2010 che definisce i DSA (Disturbi Specifici dell’Apprendimento) nelle forme della dislessia, disgrafia, discalculia e disortografia;
  • la direttiva ministeriale del 2012, che fa luce sui bisogni educativi speciali (BES) dove non sia presente certificazione clinica o diagnosi.

La conoscenza è il primo tassello, il secondo è la sua applicazione.

Un’applicazione che non può dimenticarsi di uno stile in ascolto e a sostegno delle condizioni utili a necessarie a far dispiegare quel “se stesso” di cui parlavo sopra, un “se stesso” dalle forme ancora accennate, ma in diritto di trovare espressione.

La confusione su cosa siano gli strumenti del PEI (Piano Educativo Individualizzato per tutti gli alunni con disabilità in base alla L. 104/92 e al DPR 24/2/94 e redatto congiuntamente dalla Scuola e dai Servizi socio-sanitari che hanno in carico lo studente con partecipazione attiva della famiglia) e del PDP (Piano Didattico Personalizzato il cui obbligo è implicito nella L. 170/10 e indicato nelle Linee Guida, anche se non si utilizza mai ufficialmente il termine PDP) è ancora molto frequente tra gli adulti che si relazionano con il mondo della formazione.

Propongo questa infografica riassuntiva per fare chiarezza, sottolineando che non bastano certo dei documenti per mettere in pratica ascolto e inclusione: conoscerli è un primo passo.

 

 

Lo strumento più importante: la relazione

La progettazione di strumenti individualizzati non può prescindere dalla conoscenza delle specificità di apprendimento e da uno sguardo attento e complice degli allievi.

È importantissimo che questi strumenti didattici diventino punti di relazione tra compagni di scuola e non motivo di esclusione o etichettamento.

Molte strategie buone per chi ha una difficoltà o un disturbo sono valide anche per chi non lo ha: l’esempio delle mappe concettuali e mentali fa scuola. Certo, chi ha una dislessia è bene che studi direttamente su un supporto di tipo visuale che predilige le immagini alle parole. Chi non ha una dislessia però può comunque trarre giovamento dall’utilizzo di questo strumento per reinterpretare, approfondire, ripassare, personalizzare e rendere l’apprendimento un’esperienza vera.

Il come gli strumenti vengono presentati e proposti – con cura e pazienza –  fa la differenza tra un’etichetta e un ponte, tra il nascondersi e il darsi valore, tra il tacere e la libertà di esprimersi.

Perché quando si scrive un PEI o un PDP la differenza crea valore.

Autore: Elisa Bottignolo

Insegnante, formatrice e tutor dell’Apprendimento. La mia cassetta per gli attrezzi contiene: l'esperienza maturata come insegnante e come libera professionista esperta di didattica, apprendimento e comunicazione, una Laurea magistrale in Comunicazione, un Phd in Sociologia dei processi comunicativi e interculturali, corsi professionalizzanti sulle tematiche della didattica e dell’apprendimento, un Master universitario in Didattica e Psicopedagogia dei DSA e diverse pubblicazioni sui temi della comunicazione.

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