Che cos’è l’ascolto attivo (è più complesso di quel che pensi…)

Nel weekend mi piace ritagliarmi qualche spazio di relax, accompagnato da un buon sottofondo musicale.

Dopo una settimana passata con l’orologio in mano, l’agenda che detta gli appuntamenti, il diluvio di riunioni, la sensazione che le cose da fare non finiscano mai… ecco, dopo una settimana così cerco la lentezza come un viandante cerca l’acqua nel deserto. Così accendo il mio vecchio giradischi, metto un vinile, mi lascio ipnotizzare dal suo movimento circolare e lascio che la musica si porti via le tensioni.

L’ho fatto anche sabato. A un certo punto però è successo qualcosa. Il suono era sporco, lontano, capivo a malapena le parole del cantante. Avendo un vecchio (vecchissimo) giradischi, di cui vado molto fiero, sono piuttosto abituato a prendermene cura. È parte della bellezza. Così ho iniziato a fare i miei soliti controlli: i contatti elettrici, le manopole, gli interruttori, le casse… niente da fare.

Fino a quando i miei occhi non sono stati attratti da una piccola pallina di polvere che si era accumulata proprio intorno alla testina. Con un ghigno di soddisfazione, ho chiuso il pollice e l’indice a mo’ di pinza, mi sono avvicinato alla testina con la precisione di un chirurgo e ho eliminato la piccola massa polverosa. Voilà, il suono è tornato pulito.

Ed è in quel momento che in me si è accesa una lampadina.

Come ascoltiamo?

L’ascolto. Sì, capita la stessa cosa con l’ascolto.

Quando non siamo “puliti”, cioè quando attraversando le nostre giornate accumuliamo “polvere” (tensioni, emozioni negative, stress…), perdiamo la connessione. Con noi stessi, prima di tutto. E quello che restituiamo nella relazione con gli altri è un “suono” opaco, lontano, brutto. La testina rappresenta la nostra capacità di ascoltare. Il disco rappresenta invece le persone con cui entriamo in relazione.

Dalla qualità del nostro ascolto dipende dunque la qualità delle nostre relazioni.

Per questo è importante – molto importante – essere consapevoli del modo in cui ascoltiamo.

Si fa (troppo) presto a dire ascolto attivo

Dopo il concetto di empatia, al secondo posto tra i concetti più abusati e saccheggiati, c’è l’ascolto attivo.

In quasi tutte le definizioni, l’ascolto attivo viene descritto come un tipo di ascolto basato sull’empatia. Falso!

Le premesse dell’ascolto attivo sono due: l’exotopia e l’autoconsapevolezza emozionale. Seguendo i due link, se vorrete, potete leggere gli articoli che ho dedicato a queste due chiavi dell’ascolto.

In estrema sintesi:

  • L’exotopia si attiva quando, dopo aver cercato di metterti nei panni dell’altra persona, capisci che non ti vanno bene. Sono troppo larghi, o troppo stretti, il colore e lo stile non ti appartengono. Grazie a quei panni così diversi prendi coscienza dei tuoi  e capisci che entrambi gli stili d’abbigliamento hanno pari diritto di esistere, pur nella loro (più o meno profonda) diversità. L’exotopia quindi è un processo di gran lunga più complesso dell’empatia. Come l’empatia richiede lo sforzo di decentrarsi rispetto al proprio punto di vista sulla realtà, senza però forzare l’altra persona ad entrare nei nostri schemi e senza perderci nei suoi.
  • Praticare l’autoconsapevolezza emozionale significa invece avere la consapevolezza che siamo parte di sistemi relazionali dinamici e che le nostre emozioni sono l’emergere alla coscienza del ruolo attivo che giochiamo nella costruzione, conservazione e nel cambiamento di queste dinamiche. Andando al succo, significa che le nostre emozioni non sono reazioni spontanee alle cose che ci accadono, ma parlano del modo in cui stiamo interpretando le cose che ci accadono e ci danno informazioni preziose sulle azioni che stiamo per intraprendere.

Prendere il sole in smoking: un esempio di ascolto attivo

Che io sappia non esistono regole esplicite che stabiliscono il modo adeguato di vestirsi per andare in spiaggia. Tuttavia se a ferragosto piantassi il mio ombrellone e mi mettessi a prendere il sole in smoking, la perplessità stampata sulle facce degli altri bagnanti mi farebbe capire che probabilmente sto infrangendo qualche regola implicita. In effetti, andare in spiaggia – in genere – non rientra tra le situazioni che richiedono un abbigliamento formale. Oppure, rimanendo nella cornice “mare”, pensiamo all’imbarazzo che proveremmo prendendo il sole in costume in una spiaggia di nudisti.

Imbarazzo, stupore, spiazzamento… in altre parole, emozioni.

La rottura delle regole implicite produce uno shock. Sempre. Di fronte a questo “trauma” abbiamo due possibilità: chiuderci nella nostra rigidità, sentendoci inadeguati. Oppure aprire uno spiraglio per prendere consapevolezza delle premesse implicite alla base di quella che consideriamo la nostra “normalità”.

Torniamo all’esempio dei nudisti. Il nostro imbarazzo può spingerci a lasciare la spiaggia inveendo contro tutto quello scempio della pubblica decenza. Oppure può far suonare un campanello nella nostra mente:

“caspita, se sono così imbarazzato vuol dire che sta accadendo qualcosa di interessante!”

Probabilmente, individuata la fonte del nostro imbarazzo – la nudità – inizieremo a chiederci quali ragioni sottenda. Poi forse inizieremo anche a scoprire le idee alla base della cornice “nudismo” (c0ntatto con la natura, libertà, abbigliamento considerato come forma di ipocrisia…) e, se ci piace, potremo addirittura arrivare a sfilarci il costume.

Diventare esploratori di mondi possibili

In ogni caso si tratterebbe di una scelta soggettiva.

Comprendere le ragioni che muovono un certo modo di incorniciare la realtà – cioè andare alla radici della “normalità degli altri” – non significa necessariamente condividerlo.

Anzi, se non partissimo dalla nostra normalità non ci sarebbe stupore. E senza stupore, come abbiamo visto, non saremmo in grado di gettare luce sul nostro modo di considerare la n0rmalità.

L’obiettivo dell’ascolto attivo non è “mettersi nei panni delle altre persone”. Ciascuno deve stare nei propri (è questa la differenza fondamentale tra empatia ed exotopia).

Non dobbiamo nemmeno convincere i nudisti a mettersi il costume. O noi stessi a farlo, se non lo vogliamo.

Esercitare l’ascolto attivo significa comprendere cosa c’è alla base di ciò che le altre persone considerano “normale” (le idee, i valori, le emozioni che le muovono), resistendo alla tentazione di modificarlo.

La sfida, per tornare all’esempio dei nudisti, è capire che hanno delle ragioni e che il loro è uno dei tanti modi di “incorniciare la realtà”.

Ora provate a sostituire la cornice “nudismo” con un tema a vostra scelta tra i tanti che incrociate nella vostra quotidianità personale o professionale. E lasciatevi guidare dal vostro stupore.

Esercitando l’ascolto attivo (quello vero) diventerete esploratori di mondi possibili. Buon viaggio!

 

PER APPROFONDIRE

Autore: Roberto Fioretto

Manager della comunicazione e counselor con il pallino dello s-viluppo (inteso come liberazione dai viluppi che imbrigliano il potenziale) organizzativo. Osservatore appassionato dei sistemi che le persone attivano entrando in relazione. Amo esplorare le culture organizzative e considero come la parte più importante del mio lavoro mettere in contatto le persone (e me stesso) con il loro potenziale più alto. Autore di LeadEretici, il podcast dedicato alla leadership generativa.

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