Adolescenti navigati: come sostenere la crescita dei nativi digitali

Tra le cose che faccio, ce n’è una di cui vado particolarmente orgoglioso. Si chiama Segnavie: è un ciclo di incontri con speaker provenienti da ogni parte del mondo, che organizzo insieme a un team di (validissimi) colleghi. I relatori, veri e propri fari nei rispettivi campi d’azione, sono chiamati a rispondere ad alcune domande cruciali che accompagnano la nostra vita quotidiana. L’obiettivo? Aiutare i “viaggiatori della contemporaneità” – tutti noi – ad orientarsi nel mare in tempesta della modernità liquida.

Tra le domande scelte per la settima edizione, una in particolare ha acceso l’interesse del pubblico, generando un dibattito che testimonia quanto forte sia il bisogno che la genera: come possiamo sostenere la crescita degli “adolescenti virtuali”? Abbiamo chiamato a rispondere un grande esperto in materia, lo psicologo e psicoterapeuta Matteo Lancini, autore di Adolescenti navigati (2015) e Abbiamo bisogno di genitori autorevoli (2017).

Di seguito trovi il video integrale e una sintesi della (meravigliosa!) conferenza del prof. Lancini.

GUARDA IL VIDEO DELLA CONFERENZA

Dal padre simbolico alla madre virtuale

Gli adolescenti di oggi navigano in acque diverse dal passato. La prima operazione culturale da fare (fondamentale!) è distinguere le nuove normalità – ovvero le pratiche di utilizzo “normale” della rete – dalle nuove dipendenze. E per capire dove posizionare la linea di confine è necessario individuare i miti affettivi che hanno promosso e sostenuto la diffusione delle relazioni digitali.

In famiglia c’è stato un passaggio molto importante: quello dal padre simbolico alla madre virtuale. Un tempo, prima della crisi del padre, esisteva la famiglia tradizionale normativa, vale a dire una famiglia autoritaria, alla quale si doveva obbedire.

I genitori, in particolare la madre (che non lavorava), erano vicini con il corpo ma all’interno di un modello educativo più distante.

Questo tipo di famiglia si fondava sulla norma e sulla paura: la sera il padre tornava a casa e, a seconda di quanto il figlio era stato buono o cattivo, distribuiva quote di dolore e di distanza relazionale.

A un certo punto questo modello è entrato in crisi. Si  è passati così a quello della madre virtuale.

La famiglia è diventata più affettiva, centrata sulla relazione. La famiglia oggi aspira a farsi obbedire proprio attraverso la relazione.

Se la famiglia tradizionale utilizzava la relazione come mezzo per far transitare i valori, la famiglia affettiva ha nel mantenimento della relazione il suo fine ultimo.

Oggi la madre lavora per necessità e c’è una separazione precoce dal bambino, tuttavia si mantiene molto più vicina con la mente. La distanza corporea è maggiore del passato, dunque, ma i membri della famiglia sono molto più vicini con la mente.

Poi, con l’arrivo del telefonino, la madre finge di delegare funzioni educative importanti a un educatore, allo zio, agli allenatori, ma da lontano governa il processo. I dati Istat ci dicono infatti che il telefonino viene regalato tra gli 8 e i 12 anni proprio dai genitori.

Il consumo digitale nasce nella famiglia

Nella mente dei ragazzi il consumo digitale nasce dunque all’interno delle relazioni familiari e non nel gruppo. Il figlio vede che la mamma non consulta più l’Artusi o altri libri di cucina, ma passa le serate online su Giallozafferano, e il padre non sa più guidare da solo ma c’è una voce, di solito femminile, che gli dice che deve invertire senso di marcia alla prima rotonda.

Il primo messaggino è stato inviato dalla mamma, è un cordone ombelicale virtuale. Queste relazioni possono essere fortissime, sono tutt’altro che relazioni superficiali!

Le relazioni senza corpo sono parte del processo di crescita. Ai bambini viene insegnato anche che non si può stare soli e che l’amicizia è un valore fondamentale.

Non a caso il potere orientativo dei coetanei non è mai stato così forte come oggi. La dipendenza dai coetanei nasce all’asilo, dove si insegna ai bambini che partecipare alle feste è importante. Oggi se tuo figlio socializza per due volte con lo stesso bambino, e hai Whatsapp, ti arriverà un messaggio che dice:
Hai visto?
Che cosa?
I nostri figli vanno d’accordo, quando ci incontriamo per un caffè, un the, una tisana?

E poi non è escluso che l’estate la passiate insieme. Questo ha conseguenze importanti in adolescenza.

La crisi dei valori

Oggi è venuta meno comunità educante. In passato i bambini a 7 anni potevano uscire, esponendosi a pericoli, percorrendo lo spazio da scuola a casa. I rischi c’erano, ma nella mente dei genitori esistevano tendenzialmente più adulti benintenzionati che malintenzionati; una comunità educante appunto.

Dove finivano questi ragazzi? In spazi antropologici che tra un po’ riapriremo come musei: i cortili o i giardinetti. Dove i maschi avrebbero combattuto battaglie di strada terribili a suon di ginocchia sbucciate (se andava bene), di fionde, di cerbottane e di sangue.

Oggi l’unico spazio che abbiamo consentito per giocare con il corpo e la virilità in preadolescenza / adolescenza è quello virtuale. Se in passato il tredicenne era in cortile e la mamma diceva “Sali, dobbiamo mangiare”. Oggi un ragazzino della stessa età è immerso in un bagno di sangue che solo chi frequenta i giochi più violenti conosce, ha appena picchiato con una mazza da baseball disabili e donne incinte. Poi spegne. Non ha un granello di polvere e il corpo è intonso, fuori dai pericoli. Si siede a tavola e cena.

Se non teniamo conto di questo sbagliamo campagne preventive. Per i ragazzi è possibile trovare spazi di socializzazione e gioco  anche violento  col corpo attraverso le piazze virtuali che hanno sostituito quelle di strada. Spazi dove reale e virtuale si intrecciano.

Come sostenere gli adolescenti virtuali?

È necessario aiutarli a vedere se all’interno della rete possono trovare forme di espressione e creatività proprie. Questo è fare prevenzione. Chi dice loro che in internet si perde tempo ne dovrà rispondere. Oggi il mercato del lavoro è complicato.

Gli adulti dovrebbero non solo limitare (cioè stabilire quando e quanto) ma, se possibile, individuare un utilizzo della rete più attivo e al servizio del vero sé. Chi urla che possiamo controllare le relazioni senza corpo degli adolescenti crea una situazione per cui, non fidandosi, i ragazzi non chiederanno aiuto. Aiutare gli adolescenti a fare scelte a favore di sé, è questo l’obiettivo. C’è bisogno di adulti attenti e autorevoli, dunque, capaci di affrontare la complessità che noi stessi abbiamo creato.

Non è che i bambini a 6 mesi hanno fatto la rivoluzione per andare al nido. La possibilità di crescere a distanza è una conquista sociale. Lo stesso è per internet. Siamo stati noi a costruire una società connessa h24!

I figli oggi non sono più in balia della colpa. Vivono una fragilità narcisistica. Non sono più in conflitto con la norma, ma con delle aspettative ideali enormemente enfatizzate – che si costruiscono durante l’infanzia – e che in adolescenza rischiano di crollare davanti al corpo che – iperinvestito da papà, mamma e mass media – poi si trova a confrontarsi con la realtà.

Il centro del disagio è la vergogna: i ragazzi oggi si sentono inadeguati, brutti, non solo esteticamente. Come reagiscono? Anestetizzando il corpo, attaccandolo, con gesti autolesivi. E lo fanno anche con lo strumento della rete. Internet è una mediazione, un riparo, un tentativo di salvaguardare l’integrità psichica.

Dobbiamo metterci in testa che oggi i figli non parlano delle loro cose spiacevoli con genitori ed educatori non per paura della punizione – come piace pensare agli adulti – ma per non generare angoscia in loro. La sovraesposizione è un tentativo di lenire il sentimento di inadeguatezza e vergogna.

Mettersi in ascolto. Questo bisogna fare. L’adolescente non dice di aver preso un brutto voto per paura della punizione. La paura è quella di rovinare la serata, generare reazioni emotive esagerate per aver deluso le aspettative. La paura è quella di rompere le relazioni. Oggi si cresce per delusione e non, come una volta, per opposizione. Dove nasce la paura di deludere? Da dove nasce la dipendenza dall’immagine. In molte case, oggi, la prima foto è la morfologica… e alle recite? Nessuno più guarda, ma tutti riprendono! E poi ci chiediamo perché a 14 anni non ci ascoltano quando diciamo loro: “guarda che la popolarità su Instagram non conta nulla”?!? Non siamo credibili. Essere autorevoli (non autoritari) significa essere capaci di ascoltare, dare valore ai loro turbamenti senza sminuirli e fornire risposte adeguate.

La soluzione è prendere sul serio gli adolescenti: se non ti senti popolare, ti aiuterò. Trova un allenatore di Instagram, qualcuno che li aiuti ad allenarsi dove hanno bisogno, a sviluppare competenze. Hai del talento da spendere in rete? Sì? Allora ti aiuto. No? Ti aiuto a comprendere che puoi fare altro.

Visto che non possiamo eliminare la rete, visto che li abbiamo pompati per tutta l’infanzia, alleniamoli a usare la rete in maniera attiva e creativa!

Non chiediamo ai figli di consolarci dopo che sono diventati quello che volevamo che fossero…

Grazie prof. Lancini! :-)

 

PER APPROFONDIRE


Autore: Roberto Fioretto

Manager della comunicazione e counselor con il pallino dello s-viluppo (inteso come liberazione dai viluppi che imbrigliano il potenziale) organizzativo. Osservatore appassionato dei sistemi che le persone attivano entrando in relazione. Amo esplorare le culture organizzative e considero come la parte più importante del mio lavoro mettere in contatto le persone (e me stesso) con il loro potenziale più alto. Autore di LeadEretici, il podcast dedicato alla leadership generativa.

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